In Racconigi una nuova Casa delle Muse
alcune considerazioni in margine
In memoria di mia cugina Maria, che per le strade e tra la gente di Racconigi, in civile commercio, trascorse il cuore della sua vita, con elegante appartata levità coltivando intanto la pittura e la ceramica; anche ad educare, per il concreto delle cose, le sue tre belle figlie Francesca Ilaria e Chiara all'Essere.
Il qualitativo civile perseguito dalle singole società umane si coglie attraverso l'analisi degli orizzonti che perseguono le istituzioni, ma non episodicamente tra loro in clamorosa contraddizione, come esemplificano nel nostro oggi i contrasti tra il diritto al lavoro e la disoccupazione programmata, il diritto all'informazione e la menzogna politica che spesso informa i discorsi della stampa, il diritto del cittadino alla tutela giuridica e la sua irrisione, non infrequente nei percorsi della macchina giudiziaria. Ovviare a queste storture della macchina sociale, che nascono tutte dalla pressione che le oligarchie locali esercitano nella spartizione consortile corporativa del prodotto collettivo del lavoro, è il vero e primo compito della politica; che in democrazia lo persegue e con l'attività legislativa e con la creazione di macchine istituzionali, il cui senso astratto è: perseguire l'armonia sociale. Da qui nelle nostre democrazie l'educazione gratuita aperta a tutti attraverso la scuola pubblica, l'assistenza sanitaria, il sistema pensionistico, la ricerca della piena occupazione ... Solo se si procede da questa coscienza della funzione, e non come finzione, delle istituzioni, si può comprendere, e quindi accettare il senso della moltiplicata presenza, nell'ambito della nostra società, dell'istituzione museale: se ne possono comprendere i grandi vantaggi per l'equilibrio sociale democratico, ergo se ne possono accettare i costi. E quindi anche quelli per il nuovo museo di Racconigi, dedicato al recupero della memoria della locale tradizione pittorica, come già si individua nei due nomi eponimi dati all'istituzione: museo Levis Sismonda.
Da questa premessa discendiamo all'analisi del complesso rapporto costi benefici, dov'è la risposta alla domanda: perché anche oggi, nelle nostre società democratiche permane l'istituzione museale, la cui origine e sviluppo, tra tardo '500 e primo '700, sono chiaramente connessi all'evo delle regalità cristiane assolute, nel cui ambito di potere si è definita questa istituzione, che già nel nome cela un paradosso.
In società organizzate in modo che oggi definiremmo integralista, per l'adesione acritica della sua classe dirigente alla dogmatica dalla religione monoteista cristiana: e tanto nell'ambito dei vertici politici dell'integralismo pappista cattolico franco-spagnolo che ortodosso czarista, ma anche riformato protestante, prende forma una istituzione decisamente acristiana, che rimanda all'antecedente mondo degli dèi falsi e bugiardi. Infatti, Museo vuol dire; Casa delle Muse, istituzione che negli stati assoluti monarchici cristiani europei individua un dettaglio significativo di quell'articolato mondo dell'intrattenimento civile, spesso segnato da un costante evidente paradossale rimando al mondo pagano, fino alla costruzione seriale di locali arcadie, celebrate per musiche e danze e spettacoli teatrali sotto la regia dei massimi artisti di quel tempo, tra il Metastasio, Molière e il Tiepolo. È un mondo a parte entro società cristiane, segnato da un serrato sistema di rimandi al politeismo classico, lungo un percorso il cui esito estremo sarà, tra XVIII e XIX secolo la post cristiana cultura illuminista, vittoria di Atene su Gerusalemme. Ma da che cosa origina: che cosa parla in questo paradossale percorso, tra '600 e '700, di scristianizzazione del potere politico: e proprio mentre lo stesso potere politico ostenta davanti al popolo devozione assoluta alla figura del Cristo come voce dell'Unico Signore dell'universo, accreditato veridico dal racconto biblico, la cui veridicità data per certa, affermare pubblicamente il contrario comportando il carcere per eresia e la pena di morte. E proprio come oggi circa il credo islamico in stati mussulmani.
La ragione della radicalizzazione sociale del paganesimo rinascimentale: il suo successo tra i ceti dirigenti, va cercata nel feroce ciclo di guerre di religione interconfessionali cristiane, che dilacera tutto il '600; e la cui sola possibilità di fuoruscita appare agli spiriti illuminati la creazione d'uno spazio speculativo libero a parte, la cui forma archetipica è nella filosofia antica: platonismo, stoicismo, epicureismo, che muove seco un recupero del mondo pagano greco romano, anche nella dimensione del suo sacro, come finzione speculativa. Solo attraverso la formula: ipotesi fingo, Copernico può dare comunicazione pubblica del suo sistema eliocentrico, dettaglio locale uranico d'una grande finzione speculativa collettiva; poi destinata a prevalere sul mondo cristocentrico. Sarà un recupero complesso dell'antico, che avrà la sua paradossale sintesi nell'impero del grande saccheggiatore di opere d'arte e infaticabile museificatore politico Napoleone Bonaparte; la cui massima museificazione è proprio la sua trasformazione della rivoluzione francese: insorta contro l'assolutismo statale fondato sulla dogmatica cristiana, in istituto imperiale. Sarà la quarta metamorfosi della Roma imperiale dei cesari, dopo Bisanzio cristiana e la terza Roma imperiale degli slavi: l'impero dei cesari di Moscovia. Nell'impero napoleonico rivive la quarta Roma imperiale: è la Parigi capitale della nascente civiltà capitalista industriale borghese, in concorrenza con una Londra non meno satura di classicità, come descrivono appunto i suoi coevi musei d'ambito regio, e quel monumento al mondo pagano che è la grande opera storiografica sulla decadenza e caduta dell'impero romano del Gibbon. Ma che cosa perseguì originariamente, attraverso il recupero del paganesimo, il potere politico delle regalità assolute?
Per comprenderlo procediamo dall'istituzione neopagana per eccellenza elaborata dai vertici degli stati dinastici assoluti cristiani: la Casa delle Muse. Il Museo è una raccolta di opere d'arte, ma anche documentazione etnografica e storicizzazione, a procedere dal mondo della pittura, e quindi dell'immagine, posta sotto il segno delle muse, che prende forma nell'ambito rinascimentale, sorta di autentico simmetrico laicizzato dell'universo delle chiese cristiane, nella loro dimensione agente luoghi di trasmissione, per riti, del racconto sacro; sua celebrazione nell'iconografia della civiltà cristiana. E che la nascente civiltà cristiana, una eresia dell'ebraismo, aveva mutuato dai templi pagani, spesso semplicemente occupandoli, e scalpellando via, sui basamenti, i nomi degli dèi pagani, ed incidendovi quelli di santi cristiani, per cui Apollo diventa san Giorgio, le statue del filosofo Plotino diventano quelle dell'apostolo Paolo, e il Cristo assume i tratti convenuti di Dioniso. C'è il recupero della coscienza di questa sequenza storica nel delinearsi del museo risorgimentale, traccia concreta d'uno spazio di libero dibattito speculativo, che non trova più un suo luogo nell'ambito cristiano, ormai mondo sopraffatto da una chiusura dogmatica implicita nella logica monoteista cristiana, che si è fondata su una serie di falsificazioni santimoniose apocalittiche circa la venuta del Cristo, poi svoltesi coerentemente nella falsa donazione di Costantino: sulla quale si fonda tutto il cesaropappismo medioevale, le cui pretese diventano irrisione allo smascheramento di Lorenzo Valla.
Ma perché, tra rinascimento e illuminismo si definisce: istituzionalizza come museo uno spazio sociale di libera ricerca e riflessione storica?
Procediamo dal nome della nuova singolare istituzione: Casa delle Muse o Museo.
Il massimo teologo del paganesimo classico fu il poeta Esiodo (suppongo, scrive Erodoto, che Omero ed Esiodo vissero quattrocento anni prima di me). Dai versi di Esiodo apprendiamo un suo contatto diretto visionario con le Muse che, nel racconto del poeta, fu da queste divinità iniziato alla poesia. Esiodo, quando le aveva incontrate, già sapeva che le muse erano nove, figlie di Giove e Mnemosine (la memoria), ognuna preposta a una specifica forma di arte: Calliope alla letteratura, Clio alla storia, Erato alla poesia erotica, Euterpe alla musica, Melpomene alla tragedia, Polimnia alla poesia religiosa, Talia alla commedia, Tersicore alla danza, Urania all'astronomia. Abbiamo dato qui il catalogo delle Muse per far evidente al lettore una ben singolare stranezza: non c'è nessuna musa che presieda all'esercizio né della pittura né della scultura, attività centrali nel mondo antico classico. A questo singolare paradosso sono state date le più diverse risposte, a discendere dalla considerazione che il pittore e lo scultore operano con le mani, e quindi svolgono un lavoro di tipo servile. Obiezione ben bizzarra, visto che nel paganesimo classico anche i fabbri avevano un dio loro proprio, e perfin i ladri, perché non pittori e scultori, figure di grande rilievo sociale?
L'assenza di una musa della pittura si comprende solo se si va alla funzione sacrale delle muse entro la teologia ellenica, che così possiamo sintetizzare per le dotte parole del Dodds: “ Il dono delle Muse, o meglio, uno dei loro doni, e il più importante, è la capacità di parlare secondo verità. - E. R. Dodds, I greci e l'irrazionale, pg 126 ed. it. Milano 2009”. Parlare sotto il dettato delle muse significa parlare secondo verità, in quanto la persona ispirata dalla muse è un entheos: un pieno del Dio, e questo lo apprendiamo da un passo di uno dei grandi sapienti del mondo classico: “Essere entheos (pieno del dio) è una condizione che il poeta condivide con altri ispirati: i profeti, le baccanti, le pitonesse. - Democrito”
Il discorso delle Muse è dunque sempre discorso di verità: evangelico, che raggiunge il mondo per la mediazione dell'artifex da loro ispirato, parola spesso levata contro la menzogna, l'inganno, ma che nella pittura, fin quando la soggettività conserva una chiara visione sensoriale, non può aver spazio, almeno nell'ambito del mondo classico. Qui la pittura è un elemento rammemorativo, che tramanda vicende note e condivise, come apprendiamo tanto da quella summa della natura e funzioni della pittura antica che è la pittura pompeiana, ma anche e ancora di più dalla pittura tombale, tutta segnata da contenuti mitico simbolici. E ancora dalla lettura iconologica dalla pittura vascolare, straordinario capitolo dell'arte, per le cui immagini possiamo, per approssimazioni, avvicinarci al quotidiano del mondo classico antico.
A discendere dalla sua spiegazione teologica, comprendiamo la vera funzione della rinascita pagana nel mondo degli stati assoluti cristiani, sopraffatti da quell'ipocrisia bigotta così mordacemente irrisa da un Diderot e un Voltaire, ma anche da quel sommo poeta comico, fedele discepolo di Erato, che fu il veneziano Giorgio Baffo. In un ambito di potere ormai sopraffatto dal conformismo, per i detentori del potere diventava necessaria una parola di verità, recuperata attraverso il ritorno a quell'antecedente pre-cristiano, la cui forma istituzionale si articolava per i teatri, le accademie di belle arti, il recupero storiografico critico del passato, e aveva la sua massima oggettivazione nella raccolta museale, serie di immagini selezionate ad articolare un ordine del vero in opposizione all'artificio del sistematico inganno realizzato dalla coeva organizzazione del potere politico cristiano per le sue liturgie. Una ricerca del vero attraverso la mediazione della classicità, coltivandone i residui estetici, tra il corpus poetico, a discendere da Omero ed Esiodo, e le grandi opere storiografiche, tra Erodoto e Ammiano Marcellino.
Al centro delle varie Case delle Muse che caratterizzano il paesaggio intellettuale tra '600 e '700: il secolo del trionfo dell'illuminismo, sta una oggettiva tensione di verità, che prende forme nell'ambito del potere politico, per la mediazione della figura dell'artista, in ragione del suo oggettivo rapporto con una trascendenza altra: la verità che viene: è dono delle muse, e che condurrà alla dissoluzione dell'ordine europeo degli stati assoluti, con il conseguente emergere del predominio borghese, uno dei cui luoghi originari di meditazione è lo spazio pittorico. Questo si coglie chiaro soprattutto per l'analisi iconologica della pittura olandese, per la quale si definisce la visione borghese del mondo, in una ideale continuità evolutiva con il mondo delle muse, la cui sintassi simbolica è universalizzata, nell'ambito della pittura europea, dall'iconologia del Ripa, solo attraverso il cui testo: la sua consultazione, siamo in grado di leggere la grande esemplare 'Allegoria della pittura' del Vermeer, opera oggi a Vienna, che compendia il nuovo ordine post cristiano in apparizione già nella speculazione spinoziana; e nel cui ambito il senso del sacro trapassa dalla macchina teologica clericale cristiana a un corpus articolato di soggettività artistiche agenti, chiamate a incarnare la parola vera, fino a realizzarla in opere a un tempo complessamente simboliche e didascaliche, con al centro ancora la omerica Musa. È una grande impresa collettiva che trasforma la società europea, che si sintetizza nell'Enciclopedia, ed ha la sua massima evidenza nell'istituzione museale. È una società dove i contenuti della politica innovativa derivano dalla visione dell'artifex entheos, come parla anche nel nostro risorgimento, tutto percorso dalle canzoni del Leopardi e del Foscolo, come dalle allegorie dell'Appiani e segnato dal grido Viva VERDI!, levato sotto le cupole dei teatri lirici.
L'accordo tra arte e politica borghese sarà però di breve respiro, come parla con particolare forza eloquente in quel filone filosofico che, tra Bachofen e Nietzsche svolge una serrata critica all'idea di società borghese come si era venuta articolando sotto il crescente primato del capitalismo, i cui grandi finanzieri mirano a impadronirsi anche del sistema museale, proprio per quanto per esso si veicola in una società democratica: il controllo dell'immagine. E nulla lo chiarisce quanto un significativo episodio accaduto nell'ambito del MOMA di New York nel 1932, protagonisti il banchiere David Rockefeller e il pittore Diego Rivera. Il banchiere commissionò al pittore un affresco che esaltasse le grandi innovazioni del XX secolo. E il pittore celebrò nell'affresco su una parete del museo, la caduta dello zarismo, ponendo al centro del suo racconto epico la figura di Lenin. Il banchiere pagò il pattuito e vietò l'ingresso al MOMA all'artista, che non poté concludere l'opera, dal banchiere fatta distruggere.
Come già avevano capito i primi imperatori della Roma cristianizzata, anche il capitalismo ha perfettamente compreso che la perdita del controllo dell'immagine, e quindi del dominio sull'immaginario popolare, porta inevitabilmente alla perdita del potere politico, come anche conferma clamorosamente la coincidente fine dell'egemonia degli stati assoluti cristiani, e la perdita del centro in quegli immaginari sociali dell'iconologia cristiana. E questo ha compreso non solo il capitalismo finanziario borghese occidentale: e con particolare lucidità nel suo centro decisionale USA, ma anche quella nuova forma di capitalismo di stato che è stato il bolscevismo russo, che oggi vigorosamente si perpetua nel post maoismo cinese.
Infatti tutta la cosiddetta 'Guerra Fredda' tra gli imperi moscovita e USA si gioca anche intorno al controllo dell'immagine, che l'impero moscovita cerca di imporre attraverso la dottrina del cosiddetto realismo socialista. Più raffinatamente il capitalismo USA scelse la cancellazione dell'immagine, attraverso il primato dell'arte astratta, che rapidamente degrada la pittura da arte a deorazione: scelta non nuova, ma già realizzata dall'Islam, a cancellare uno dei luoghi di possibile critica alla sua dogmatica monoteista.
Il calligramma astratto, con vigorose iniezioni di dollari si sarebbe poi scoperto quando i documenti della guerra fredda sarebbero stati desecretati, si impone tra gli anni '950 e la caduta del muro di Berlino, grazie alla massa di denaro che la CIA investe a promuovere le grandi mostre di arte astratta in Europa, il grande stratega dell'astrattismo il banchiere D. Rockefeller infine defunto, ultracentenario, nel 2017.
Il nuovo museo d'arte di Racconigi è certamente una periferia, ma che partecipa oggettivamente a quella dialettica della costruzione politica dell'immaginario che è sempre e ovunque inequivocabilmente operazione politica per eccellenza. Per cui ogni volta la creazione di immagini ricapitolative della topografia spirituale sociale, la cui forma canonica di comunicazione è l'arte: e soprattutto l'arte figurativa, si muove: è fin nei suoi visceri parte del processo politico, per quanto veicola di verità o di sua contraffazione nel locale immaginario sociale. Questo è bene mai dimentichino i fruitori dell'istituzione museale, a non diventare subalternamente passivi alle immagini selezionate dal dominio politico. Ma questo abbiano non meno chiaro gli operatori chiamati a gestire l'attività museale: che sarà attivo fattore di democrazia quanto più avrà al centro un progetto umanistico orientato politicamente all'eguaglianza tra soggetti agenti. Come appunto si realizza nella democrazia diretta: che fu la forma politica della città-stato antica, la città delle Muse. E che le Muse ebbero cara. E furono cari alle Muse anche i due artisti eponimi del nuovo museo di Racconigi, i Maestri Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda.
Piero Flecchia
Scrittore e politologo