ASSOCIAZIONE CULTURALE CARLO SISMONDA
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La Pinacoteca Levis Sismonda

Contributi critici e Approfondimenti
Presentazione
Non omnis moriar
Il 30 agosto del 1913 il Monviso si stagliava con tutta la sua imponenza tra una fitta coltre di nubi dai toni lividi che ne avvolgevano la cima, annunciando la fine dell’estate. Il pennello di Giuseppe Augusto Levis scivolava sulla tavolozza sicuro, memore della lezione appresa dal maestro Delleani, traducendo in rapide pennellate ogni atmosfera sospesa che aleggiava attorno al Re di pietra.
Anni dopo, Carlo Sismonda avrebbe indagato gli stessi cieli che sovrastano la provincia di Cuneo, infiammando le tele con cromie dai toni accesi, dipingendo con vigore di matrice espressionista squarci di nubi dense che preludono alla tempesta.
Due uomini anagraficamente distanti che amavano scrutare il cielo ed hanno reso eternamente contemporaneo il loro orizzonte, imprimendolo nello spazio circoscritto di una cornice. Dipinti, piccoli tesori passati di mano in mano incredibilmente sopravvissuti al tempo, alle guerre ed alle calamità, testimoniano oggi come l’arte sconfigga la morte.
Non omnis moriar. Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda sopravvivono nelle loro opere che ora tornano a Racconigi, per essere ammirate negli ambienti restaurati della Pinacoteca civica a loro intitolata, prospiciente piazza Vittorio Emanuele II.
La “Piazza degli uomini”, già ritratta da Carlo Sismonda in uno schizzo del 1997, da sempre vivace salotto urbano, dapprima deputata ad accogliere le riunioni dei capofamiglia, oggi suggestiva agorà dove, come nell’antica Grecia, la società civile può ritrovarsi per coltivare nuove forme di democrazia, anche nell’arte. Uno spazio pubblico che fa da contraltare alla più monumentale Piazza San Carlo, austera cornice aristocratica del Castello, residenza reale: due piazze e due patrimoni differenti, l’uno voluto da un’élite per un’élite, l’altro da un’amministrazione cittadina per la propria comunità.
La Pinacoteca racconigese si apre con due mostre, una retrospettiva dedicata a Giuseppe Augusto Levis ed un’antologica che celebra i dieci anni dalla scomparsa di Carlo Sismonda.
Voluta dall’Associazione culturale che porta il suo nome e auspicata dalla compagna del maestro, l’indimenticata Marisa Antonacci, la mostra dedicata a Sismonda si sviluppa al piano terra dell’immobile restaurato e presenta una quarantina di opere selezionate, molte delle quali appartenenti a collezioni private. Un’occasione per ripercorrere le stagioni stilistiche di un uomo dal carattere forte ed indomito, amato ed apprezzato in Italia e all’estero. Negli ambienti espositivi si incontrano paesaggi, ritratti, nature morte, soggetti sacri, tutti caratterizzati da un forte ed acceso cromatismo. Sismonda fu pittore appartenente alla grande tradizione figurativa italiana con accenti legati alla rivoluzione formale postimpressionista da Cézanne ai Fauves con al centro Van Gogh, la dialettica tra natura e simbolo e le derive neoespressioniste. Diplomato in Composizione al Conservatorio di Milano, in tutto l’arco della sua vita ha svolto un’intensa attività musicale come compositore e concertista.
Il piano superiore della Pinacoteca civica accoglie l’arte di Giuseppe Augusto Levis attraverso una selezione ragionata della collezione cittadina, costituitasi tramite lascito testamentario. Nato a Chiomonte nel 1873, a partire dal 1901 risiedette presso la tenuta del Cayre a Racconigi, dove frequentò la corte reale e conobbe lo zar Nicola II che rincontrò in Russia nel 1913, per invito dello stesso sovrano. “Il pittore dello zar”come viene comunemente ricordato, dal 1901 al 1908 fu allievo di Lorenzo Delleani, maestro della pittura di storia e del paesaggio romantico dell’Ottocento. Il corpus delle opere selezionate è suddiviso in termini cronologici e per temi e contempla i soggetti iconografici prediletti: le vedute delle vallate piemontesi, gli scorci relativi alla Prima Guerra Mondiale cui partecipò come volontario e, dal 1909, anno in cui iniziò l’emancipazione dal suo maestro, suggestive vedute olandesi e russe, accanto alla scoperta dell’esotismo e della luce nordafricana.
Una restituzione dovuta ma non scontata, quella attuata dal Comune di Racconigi e dall’Associazione culturale Carlo Sismonda, che si fonda sul recupero e sulla valorizzazione di una memoria condivisa che ha contribuito a formare l’identità del territorio racconigese, ad identificarne visivamente i perimetri ed esportarli all’estero, in Russia, con Levis, ed in Germania, con Sismonda. Una risposta sino ad ora inevasa che rende giustizia alla volontà manifestata dai due artisti quando ancora si inoltravano con i loro cavalletti lungo strade e piazze, per ritrarre gli angoli più suggestivi della città.
«Una comunità che non sostiene i propri artisti sacrifica l’immaginazione sull’altare della cruda realtà, rischiando di coltivare sogni senza valore», sostiene Yann Martel e questo progetto curatoriale voluto dall’amministrazione della Città di Racconigi intende dar vita ad un nuovo polo culturale aperto all’arte e ai suoi molteplici linguaggi espressivi, dove potrà svilupparsi la nascente Collezione cittadina. Una nuova politica attiva dell’arte che oltre a riscoprire, tutelare e valorizzare gli autori del passato, si aprirà alle eccellenze di un ampio panorama artistico contemporaneo, non solo locale, mediante una serie di esposizioni temporanee che si declineranno nel tempo, a dimostrazione del fatto che non esistono periferie culturali.
Uno scrigno vivo e partecipato aperto agli artisti ed al pubblico, dove riscoprire un passato comune e riscrivere il proprio presente, guardando al futuro.

Anna Cavallera
Direttrice artistica e curatrice della Pinacoteca civica Levis Sismonda
Racconigi ha tanti modi per narrarsi…
Racconigi ha tanti modi per narrarsi e l’ha fatto nei secoli con il suo castello, le sue architetture, la convivenza con la Famiglia Savoia, con le sue campagne, attraverso la laboriosità dei racconigesi, con i suoi prodotti di eccellenza.
Ma l’ha fatto soprattutto con i suoi personaggi illustri, con quelle persone speciali che hanno saputo dare un imprinting storico e culturale di valore alla nostra Città.
Oggi ci troviamo nella condizione straordinaria di poter celebrare due personaggi che, in qualche modo, con la loro arte, hanno tracciato le linee di quello che possiamo definire un’evoluzione di pensiero non solo percepita ma anche fatta propria nelle strade e nelle piazze della Città ma anche nelle menti e nelle case dei nostri racconigesi.
Come si può non ricordare il maestro Carlo Sismonda, recentemente scomparso, una figura carismatica, forte, dura,ruvida, intensa come la sua opera pittorica, attraverso la quale ha saputo rappresentare sia il sacro che il profano; che, con i colori intensi, il tratto deciso, ha raccontato il suo essere artista travagliato e bohemien, il suo essere racconigese, in qualche modo dotato di quella salda follia che solamente le genti del Piemonte hanno. Incontrarlo di persona, per noi che
l’abbiamo conosciuto direttamente, era sempre un’esperienza umana profonda ed intensa. Ed incontrare la sua pittura voleva dire portarsi a casa un pezzo di Racconigi e per questo molti di noi ne conservano opere all’interno delle proprie abitazioni, con grande orgoglio per questi esempi di arte contemporanea forse mai pienamente valorizzata Il secondo personaggio é Giuseppe Augusto Levis, una figura che si è dedicata soprattutto all’arte pittorica ma che ha anche dimostrato grande generosità nei confronti della nostra collettività. La sua straordinaria opera pittorica, di impronta
paesaggistica, spazia da raffigurazioni del mondo agricolo, a raffigurazioni legate a viaggi in tutta Europa e in Africa, all’esperienza della guerra, sempre con un tratto lieve, dolce, soave ma anche intenso.
Sicuramente di Levis ci inorgoglisce il poter dire che è stato un grande maestro di una scuola artistica che ha dato molto al Piemonte, come Lorenzo Delleani e come tanti altri artisti che hanno saputo raccontare, anche in modo materico, le vicende ed i personaggi di un periodo storico intenso di aneliti politici e sociali, contemporaneamente alla vita quotidiana.
Levis è stato straordinariamente generoso nei confronti della nostra Città: tutta la sua produzione artistica è stata suddivisa equamente tra Racconigi, sua città di adozione e Chiomonte, sua città di nascita. Levis ci ha anche donato tutti i suoi beni, chiedendo nel suo testamento una sola cosa: di essere ricordato. E noi oggi lo ricordiamo e lo ricorderemo con una Pinacoteca dedicata, una Pinacoteca che possa lasciare alle generazioni attuali e quelle future la conoscenza ed il ricordo di persone che, prima attraverso la propria opera artistica e poi attraverso la propria generosità, hanno amato e amano la nostra Città.
Gli artisti che celebriamo nella nostra Pinacoteca civica sono tra i pochi uomini che hanno ricevuto il dono di poter osservare l’essenza che regge la materia del reale; tra questi prescelti solo alcuni possiedono l’innata dote di trasferire nell’arte i sussulti della propria anima, in un dialogo continuo tra le sue intimità e le leggi del visibile. I maestri Levis e Sismonda, con le loro opere, sono stati e sono tuttora protagonisti di questo raro connubio tra materia ed essenza, inestimabile patrimonio
artistico per la nostra comunità e che la nostra comunità ha il dovere e l’onore di custodire e valorizzare. Tale privilegio si pone l’obiettivo di proiettare nel futuro un polo culturale di assoluto rilievo, che basa le sue radici nel più recente passato.
Nella certezza che, con l’apertura della Pinacoteca civica, esisterà un nuovo spazio di confronto, di stimolo, di valorizzazione di quelle che sono le profonde radici culturali del nostro territorio, ci auguriamo che l’iniziativa abbia un positivo riscontro e diventi il volano per l’organizzazione di nuove mostre e la sede di nuove espressioni artistiche, che sono poi il quotidiano di una società nata e conosciuta nel mondo per il suo prestigio artistico.

VALERIO ODERDA
Sindaco di Racconigi

ANDREA CAPELLO
Consigliere Delegato alla Cultura
L’arte è la presenza nella vita di ciò che dovrebbe appartenere alla morte; il museo è l’unico posto al mondo che sfugge alla morte
Lo scrittore francese André Malraux sosteneva che «L’arte è la presenza nella vita di ciò che dovrebbe appartenere alla morte; il museo è l'unico posto al mondo che sfugge alla morte». Palazzo Pochettino di Serravalle si appresta a diventare un piccolo scrigno al servizio della comunità dove coltivare l’eternità delle testimonianze artistiche del passato, accanto ai nuovi linguaggi dell’arte contemporanea, nel segno di una rinascita culturale del territorio.
In questo tragico momento storico segnato dalla pandemia, Fondazione CRT guarda al futuro e sostiene il progetto curatoriale dell’Associazione Carlo Sismonda legato allo storico immobile racconigese, oggi restaurato, che si affaccia su piazza Vittorio Emanuele II, storico cuore pulsante della città. Qui trova felice collocazione la Pinacoteca Civica dedicata agli artisti Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda, un luogo che custodirà le testimonianze visive di queste due eccellenze dell’arte figurativa, due artisti uniti dall’amore per Racconigi, eppure distanti, sia da un punto di vista cronologico che stilistico.
Levis, nato a Chiomonte nel 1873 e morto a Racconigi nel 1926, già allievo di Delleani, rappresenta la Pittura dell’800 ed è esponente della corrente romantica del paesaggio; dell’artista è esposta una selezione ragionata del cospicuo lascito testamentario destinato al comune di Racconigi.
Del racconigese Carlo Sismonda, classe 1929, spirito libero ed anticonformista con studio bohémien su piazza San Carlo, Palazzo Pochettino accoglie numerose testimonianze cromatiche, caratterizzate da un forte e impareggiabile linguaggio neoespressionista. La mostra retrospettiva a lui dedicata intende celebrare i dieci anni dalla morte dell’indimenticato pittore, musicista e compositore, apprezzato dalla critica e dal pubblico anche in ambito internazionale.
Una Pinacoteca, quella di Levis e Sismonda, che nasce da una condivisa coscienza culturale della quale la Città di Racconigi si fa portavoce, nella radicata convinzione che i fatti della cultura non possono ridursi ad eventi occasionali, ma vanno costruiti giorno dopo giorno, affinchè luoghi come questo conservino e raccontino il territorio alle giovani generazioni attraverso le sue trame d’arte, tessute nel corso del tempo.
Mi auguro che Palazzo Pochettino di Serravalle possa diventare un luogo d’incontro identitario per Racconigi e per tutta la provincia di Cuneo, dove riscoprire le proprie origini, sperimentando un’esperienza estetica capace di arricchire l’animo e lo sguardo, sempre proiettato ad un domani fatto di bellezza, creatività e cultura.


Giovanni Quaglia
Presidente Fondazione CRT
Presidente onorario Associazione “Carlo Sismonda”
Le diverse anime che danno vita al panorama artistico regionale
Nell’assolvere al proprio compito di sostegno e di promozione della cultura, la Regione Piemonte si pone spesso nel ruolo di attento interlocutore e sostenitore nei confronti delle diverse anime che danno vita al panorama artistico regionale.
E’ con molto interesse dunque, che la Regione accoglie il nuovo progetto relativo a Palazzo Pochettino Serravalle, a Racconigi, partendo proprio dall’inaugurazione della Pinacoteca Civica intestata agli artisti Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda. L’evento rappresenta la prima tappa di un programma culturale di più ampio respiro dedicato alla valorizzazione, alla tutela ed alla promozione del panorama artistico territoriale del passato, in dialogo con le nuove tendenze contemporanee.
Situata infatti nel pieno centro storico di Racconigi, la Pinacoteca dà il via a quello che sarà un nuovo polo culturale sperimentale, futuro centro di aggregazione, in cui la città potrà, non solo riscoprire le sue eccellenze artistiche, architettoniche e la sua storia, ma anche richiamare un turismo nazionale e internazionale itinerante.
In questo allestimento, sia reale che, successivamente virtuale, verranno offerte al pubblico le opere d'arte realizzate dagli artisti che vissero, sostarono e arricchirono il territorio cittadino attraverso le loro opere, con particolare attenzione ai lavori dei due artisti maggiormente rappresentativi della città, Carlo Sismonda e Giuseppe Augusto Levis, dei quali si potrà conoscerne in modo approfondito, la personalità ed il linguaggio artistico.
E’ anche di grande interesse per il nostro territorio, il progetto che vede alcuni ambienti di Palazzo Pochettino Serravalle ospitare mostre temporanee dedicate a diverse categorie di artisti, dalle firme storicizzate del passato, ai rappresentanti delle grandi correnti del Novecento, ai nuovi attori dell’arte contemporanea.

Alberto Cirio
Presidente della Regione Piemonte
Vittoria Poggio
Assessore alla Cultura, Turismo e Commercio
Lo spazio del sacro…
Il rapporto tra arte e società, tra fantasia e potere, ha sempre rappresentato una di quelle coppie di opposti eternamente in lotta tra loro. Per realizzare condizioni di sicurezza, i centri di potere politico ed economico hanno progressivamente ridotto la libertà dei cittadini, attraverso leggi e meccanismi di controllo sempre più efficaci. L’artista, da parte sua, ha sempre rivendicato la totale libertà di poter esprimere, con le sue opere, qualsiasi concetto, sentimento, intuizione, idea politica, emozione che lo hanno ispirato nell’atto della creazione artistica.
Nella attuale società globalizzata, l’arte, il suo significato, il suo valore, hanno subito profondi cambiamenti: l’arte, oggi, viene trattata come un qualsiasi altro prodotto, che deve avere determinate caratteristiche, per poter essere immesso sul mercato con speranza di successo; non è più “rivoluzionaria” e quanto meno “proibita”: è stata ridotta ad un oggetto di consumo destinato, condizionato dalle esigenze di mercato.
La civiltà occidentale è stata caratterizzata da una concezione dell’uomo come animale rationale che la lunga serie di teorie irrazionalistiche succedutesi nel pensiero moderno ha tentato di superare, oltrepassare, bypassare nel sinistro e fascinoso vuoto del nichilismo. In effetti, la razionalità è stata a lungo considerata come la caratteristica fondamentale di ogni attività umana: il discrimine della ragione, si è cartesianamente detto, separa l’Uomo dall’animale e in essa è stato riconosciuto l’elemento che ha consentito all’umanità il passaggio dalla sfera naturale a quella culturale. Tuttavia, proprio in senso antropologico – culturale, la riflessione sul linguaggio si è colorita nel corso della storia della filosofia di accezioni che volevano tentare una comprensione della sfera razionale umana non negando a priori quegli elementi irrazionali, inconsci, affettivi e sentimentali che pure caratterizzano l’uomo come tale.
In tal senso bisognerebbe quindi chiamare l’uomo animale simbolico per indicare il percorso che veramente lo ha caratterizzato nel lungo e periglioso svolgimento della sua presa di coscienza, coincidente, nel bene e nel male, e forse anche al di là, con lo sviluppo della civiltà.
Civiltà come evoluzione dell’umanità sia nella sfera individuale che in quella sociale, ambedue iscritte in quel circolo di determinazione di senso che è la cultura. Cultura, a sua volta, come insieme complesso che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.
In senso semiologico, del resto, la cultura è un codice di decodificazione, interpretazione e traduzione degli stimoli sensoriali provenienti dal mondo e attraverso cui si attuano le reazioni e le risposte ad essi: la mente non potrebbe esistere senza la cultura. Infatti, l’evoluzione della mente è legata allo sviluppo di un modo di vivere in cui la realtà viene rappresentata mediante un sistema simbolico condiviso dai membri di una comunità culturale, che al contempo organizza e pensa il proprio stile di vita tecnico e sociale nei termini di quel simbolismo.
Quindi: un rovesciamento di prospettive, una rivoluzione copernicana in base alla quale non è la mente a creare la cultura, ma è quest’ultima a determinare lo sviluppo e la costituzione della prima.
La coscienza, per il tramite del linguaggio, pone in essere un lavoro di elaborazione prettamente simbolica: il simbolo, in quanto tale e in quanto “altro”, permette il nostro accedere all’integrazione e all’armonia della totalità della coscienza perché fa riemergere i significati nascosti di origine ancestrale, mitica, tradizionale e culturale che sono comunemente insidiati nei segni, nelle parole, nelle narrazioni umane: le lingue nella loro pluralità, la quale genera a sua volta la molteplicità dei mondi, sono latrici dei significati profondi delle cose nella coscienza individuale e collettiva all’interno dell’orizzonte di senso comune sistemico denominato tradizione.
Nei sistemi comunicativi di cui parliamo rientrano la lingua propriamente detta, il mito, l’arte, la religione e la scienza, mezzi con i quali forme di vita sociale riscontrabili anche nella natura organica in genere si sviluppano dando luogo ad un nuovo stato caratterizzato dalla coscienza sociale.
Il problema insuperabile diventa allora “osare di dire l’indicibile attraverso il dicibile”, e in ciò consiste il limite del nostro orizzonte di senso all’interno del quale, tramite il linguaggio e la coscienza, ci capiamo fra di noi in quanto parlanti, comunicanti meta verbali o silenziosi, animali simbolici; ma tale limite sottintende la continua spinta verso il trascendimento, nel tentativo di superare le secche immobilizzanti del limite stesso attraverso la dinamica del desiderio che si contrappone al limite, e quindi il continuo rischio del fallimento, della caduta a piombo nell’infinito e della perdita di senso.
Operando in un mondo dove non solo non ci si propone un fine, ma neppure si percepisce il fine cui tende l’apparato in cui si opera, il fare assume quella passività, caratteristica di milioni di uomini attivi, sottesa alla quale c’è la rimozione dell’assenza di senso che traduce la vita in una aspettativa: che il senso, al momento irreperibile, possa sopraggiungere.


L’artista sta sempre sul discrimine invisibile che separa senso e non senso: l’arte, la poesia, sono salvifiche proprio in quanto sospingono l’essere umano a porsi continui riferimenti di senso, perché l’arte è, insieme alla lingua, il supremo linguaggio simbolico, quello all’interno del quale l’umanità si tramanda attraverso la memoria storica le narrazioni del proprio passato e costruisce giorno per giorno nel presente l’intelaiatura del proprio autoriconoscimento, della propria autocoscienza collettiva anche. E tutto ciò sottintende ancora una volta il fatto che, contro qualsiasi disperante nichilismo, l’uomo sia ben lungi dalla propria morte, ogni volta redivivo e appassionato di se stesso, nella pienezza attitudinale della comunicazione e dello scambio.
Nel 1936, Joseph Goebbels, che collezionava segretamente arte moderna, pose le prime censure e limitazioni a chi per primo poteva valorizzare o declassare un’opera d’arte: il critico d’arte e la sua libertà di scrivere. Stabilì che in Germania la figura del critico d’arte venisse sostituita da quella del “redattore d’arte”. Per poter diventare “redattore d’arte” era necessario sostenere un esame di stato ed ottenere una particolare autorizzazione rilasciata dalle autorità. In seguito a questo nuovo corso politico, molti artisti furono messi al bando come degenerati, fu loro proibito di continuare a produrre, vennero esclusi da gallerie e musei, furono banditi dalle cattedre di insegnamento dell’arte nelle scuole e nelle accademie.

Dunque una pinacoteca quale “spazio del sacro”, nel quale dare un senso, “liberare” l’arte, in tutte le sue espressioni, cooperando in maniera diretta e concreta al bene ed al progresso della cultura, divenuta una componente essenziale della realtà istituzionale e che, come tale, va protetta e valorizzata, al fine di combattere ogni forma di asservimento dell’artista, che comprime l’affermazione dei talenti e determina il deterioramento di quella eccellenza che ha sempre caratterizzato la vera arte.
Uno spazio dove l’impegno profondo per il benessere dell’arte, in tutte le sue manifestazioni, non sia solo frutto di buone relazioni politiche, fiuto per la pubblicità, energia e strategia negli affari, ma il depositario dei simboli della cultura del nostro paese e dell’intera umanità.

Mario Abrate
Presidente Associazione Culturale Carlo Sismonda APS
Auguri per l’apertura della Pinacoteca Civica Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda
Nel suo pregevole saggio Vita activa Hannah Arendt affronta il tema della durata dell’opera d’arte in contrapposizione alla mortalità dell’artista, alla natura mortale dell’essere umano. In questa durata relativa dell’opera d’arte vi è l’incarnazione di una certa – virtuale – immortalità del messaggio artistico, il quale evoca possibili prospettive e alternative per l’umanità e sopravvive a lungo al suo creatore, raggiunge le generazioni e le culture successive. In questo senso l’opera d’arte è un fenomeno autonomo con proprie regole linguistiche e strutturali e sistemi di segni autoportanti, mentre l’intero complesso delle opere d’arte rappresenta una visione dell’universo. Questo status dell’arte, basato sul lavoro e sull’interiorizzazione del tempo, è universale e indivisibile, indipendentemente da dove e quando un’opera d’arte è stata creata. L’unità spirituale e la coerenza dell’arte non conoscono, non riconoscono alcuna divisione rispetto al valore artistico.
Ecco perché le parole di Sofocle, Shakespeare o Dostoevskij, o i poemi di Ovidio, Goethe o Rilke continuano a parlarci oggi, talvolta a migliaia di anni dopo la loro stesura. La durata del messaggio artistico permane rispetto alle epoche storiche, alle differenti culture, alle diverse sensibilità culturali.
La presenza dell’arte, la presentazione di un’opera d’arte consente di creare un ponte tra passato e presente, tra chi l’ha creata e chi la riceve, tra culture e linguaggi, tra realtà e immaginazione.
Nello specifico mondo dell’arte le esperienze più personali, le visioni individuali più estreme si trasformeranno in attinenze collettive e questioni comuni. Attraverso l’opera d’arte i più piccoli, all’apparenza insignificanti elementi, i sentimenti umani più particolari acquistano una dimensione universale.

Per comprendere i messaggi creati dagli artisti in tempi diversi, in luoghi diversi, in condizioni storiche diverse, in situazioni socioculturali diverse, il modo più naturale sembra essere guardarsi intorno e valutare la creazione artistica proprio in un dato ambiente, proprio in un determinato luogo, collegando queste esperienze con la creazione artistica universale in tutti i tempi, ovunque. La percezione dello specifico messaggio dell’opera d’arte crea inevitabilmente un’ampia sfera di sensibilità artistica, dove passato e presente, personale ed universale si inseriscono l’uno nell’altro. La radicale soggettività del processo creativo non contraddice la radicale universalità del messaggio che di fatto rinasce nella ricezione di ogni singolo individuo. Il messaggio dell’opera d’arte non è monolitico, né chiuso o limitato, al contrario: è aperto, flessibile e coinvolge ogni esperienza personale, ogni storia personale e sorte di ogni destinatario.

Risulta essere estremamente importante creare adeguati luoghi per la fruizione dell’arte. Musei, gallerie, sale espositive, piccoli o grandi centri culturali, antichi palazzi restaurati o attrattivi edifici di nuova costruzione svolgono questa funzione: presentare la creazione artistica come parte della nostra coscienza culturale, quale parte della creazione di noi stessi che integra anche la storia, tanto quanto la contemporaneità.
La creazione artistica esiste nella dialettica della continuità e della discontinuità. Per comprendere e valutare l’arte contemporanea appare necessario conoscere e capire la storia dell’arte.
Ecco perché l’idea di creare una Pinacoteca che presenti le opere di due artisti storicizzati locali e una galleria d’arte contemporanea che possa operare con artisti più giovani della nostra epoca sembra essere la soluzione migliore.
La presentazione dell’opera di Giuseppe Augusto Levis mette in relazione storia e contemporaneità, così come la tradizione artistica locale con il mondo dell’arte internazionale, dal tardo Realismo all’Impressionismo e al Simbolismo.
Pur essendo fortemente legato alla vita artistica torinese, il suo intenso viaggiare in tutta Europa ed il lungo soggiorno in Russia e successivamente in Belgio gli hanno permesso di partecipare alla vita culturale di questi paesi.
L’opera di Carlo Sismonda manifesta la coscienza della continuità nella storia dell’arte in quanto l’intenso studio della tradizione dei Grandi Maestri, in particolare del primo Rinascimento, il dialogo con la pittura di Carlo Carrà e più tardi Van Gogh sono stati al centro della sua opera.
Entrambi i pittori hanno trascorso molto tempo in diversi paesi dove hanno studiato l’opera di importanti Maestri Europei ed entrambi hanno risieduto negli ultimi anni della loro vita in Piemonte, a Racconigi.
L’esposizione permanente della loro creazione nella Pinacoteca Civica in dialogo con l’arte contemporanea motiverà sicuramente i fruitori a riflettere sulla continuità e la discontinuità nell’arte, sulla tradizione e sull’innovazione nel processo creativo, sull’impegno culturale locale e sul coinvolgimento internazionale, ma anche a stabilire un’apertura nei confronti della cultura europea, animando un discorso empatico nei confronti dei giovani autori della nostra epoca.
Inoltre, contribuirà al pieno riconoscimento del fare artistico, dell’immaginazione e della responsabilità come principali elementi della cultura.


Lóránd Hegyi
Storico dell’arte
In Racconigi una nuova Casa delle Muse
In Racconigi una nuova Casa delle Muse
alcune considerazioni in margine

In memoria di mia cugina Maria, che per le strade e tra la gente di Racconigi, in civile commercio, trascorse il cuore della sua vita, con elegante appartata levità coltivando intanto la pittura e la ceramica; anche ad educare, per il concreto delle cose, le sue tre belle figlie Francesca Ilaria e Chiara all'Essere.

Il qualitativo civile perseguito dalle singole società umane si coglie attraverso l'analisi degli orizzonti che perseguono le istituzioni, ma non episodicamente tra loro in clamorosa contraddizione, come esemplificano nel nostro oggi i contrasti tra il diritto al lavoro e la disoccupazione programmata, il diritto all'informazione e la menzogna politica che spesso informa i discorsi della stampa, il diritto del cittadino alla tutela giuridica e la sua irrisione, non infrequente nei percorsi della macchina giudiziaria. Ovviare a queste storture della macchina sociale, che nascono tutte dalla pressione che le oligarchie locali esercitano nella spartizione consortile corporativa del prodotto collettivo del lavoro, è il vero e primo compito della politica; che in democrazia lo persegue e con l'attività legislativa e con la creazione di macchine istituzionali, il cui senso astratto è: perseguire l'armonia sociale. Da qui nelle nostre democrazie l'educazione gratuita aperta a tutti attraverso la scuola pubblica, l'assistenza sanitaria, il sistema pensionistico, la ricerca della piena occupazione ... Solo se si procede da questa coscienza della funzione, e non come finzione, delle istituzioni, si può comprendere, e quindi accettare il senso della moltiplicata presenza, nell'ambito della nostra società, dell'istituzione museale: se ne possono comprendere i grandi vantaggi per l'equilibrio sociale democratico, ergo se ne possono accettare i costi. E quindi anche quelli per il nuovo museo di Racconigi, dedicato al recupero della memoria della locale tradizione pittorica, come già si individua nei due nomi eponimi dati all'istituzione: museo Levis Sismonda.
Da questa premessa discendiamo all'analisi del complesso rapporto costi benefici, dov'è la risposta alla domanda: perché anche oggi, nelle nostre società democratiche permane l'istituzione museale, la cui origine e sviluppo, tra tardo '500 e primo '700, sono chiaramente connessi all'evo delle regalità cristiane assolute, nel cui ambito di potere si è definita questa istituzione, che già nel nome cela un paradosso.
In società organizzate in modo che oggi definiremmo integralista, per l'adesione acritica della sua classe dirigente alla dogmatica dalla religione monoteista cristiana: e tanto nell'ambito dei vertici politici dell'integralismo pappista cattolico franco-spagnolo che ortodosso czarista, ma anche riformato protestante, prende forma una istituzione decisamente acristiana, che rimanda all'antecedente mondo degli dèi falsi e bugiardi. Infatti, Museo vuol dire; Casa delle Muse, istituzione che negli stati assoluti monarchici cristiani europei individua un dettaglio significativo di quell'articolato mondo dell'intrattenimento civile, spesso segnato da un costante evidente paradossale rimando al mondo pagano, fino alla costruzione seriale di locali arcadie, celebrate per musiche e danze e spettacoli teatrali sotto la regia dei massimi artisti di quel tempo, tra il Metastasio, Molière e il Tiepolo. È un mondo a parte entro società cristiane, segnato da un serrato sistema di rimandi al politeismo classico, lungo un percorso il cui esito estremo sarà, tra XVIII e XIX secolo la post cristiana cultura illuminista, vittoria di Atene su Gerusalemme. Ma da che cosa origina: che cosa parla in questo paradossale percorso, tra '600 e '700, di scristianizzazione del potere politico: e proprio mentre lo stesso potere politico ostenta davanti al popolo devozione assoluta alla figura del Cristo come voce dell'Unico Signore dell'universo, accreditato veridico dal racconto biblico, la cui veridicità data per certa, affermare pubblicamente il contrario comportando il carcere per eresia e la pena di morte. E proprio come oggi circa il credo islamico in stati mussulmani.
La ragione della radicalizzazione sociale del paganesimo rinascimentale: il suo successo tra i ceti dirigenti, va cercata nel feroce ciclo di guerre di religione interconfessionali cristiane, che dilacera tutto il '600; e la cui sola possibilità di fuoruscita appare agli spiriti illuminati la creazione d'uno spazio speculativo libero a parte, la cui forma archetipica è nella filosofia antica: platonismo, stoicismo, epicureismo, che muove seco un recupero del mondo pagano greco romano, anche nella dimensione del suo sacro, come finzione speculativa. Solo attraverso la formula: ipotesi fingo, Copernico può dare comunicazione pubblica del suo sistema eliocentrico, dettaglio locale uranico d'una grande finzione speculativa collettiva; poi destinata a prevalere sul mondo cristocentrico. Sarà un recupero complesso dell'antico, che avrà la sua paradossale sintesi nell'impero del grande saccheggiatore di opere d'arte e infaticabile museificatore politico Napoleone Bonaparte; la cui massima museificazione è proprio la sua trasformazione della rivoluzione francese: insorta contro l'assolutismo statale fondato sulla dogmatica cristiana, in istituto imperiale. Sarà la quarta metamorfosi della Roma imperiale dei cesari, dopo Bisanzio cristiana e la terza Roma imperiale degli slavi: l'impero dei cesari di Moscovia. Nell'impero napoleonico rivive la quarta Roma imperiale: è la Parigi capitale della nascente civiltà capitalista industriale borghese, in concorrenza con una Londra non meno satura di classicità, come descrivono appunto i suoi coevi musei d'ambito regio, e quel monumento al mondo pagano che è la grande opera storiografica sulla decadenza e caduta dell'impero romano del Gibbon. Ma che cosa perseguì originariamente, attraverso il recupero del paganesimo, il potere politico delle regalità assolute?

Per comprenderlo procediamo dall'istituzione neopagana per eccellenza elaborata dai vertici degli stati dinastici assoluti cristiani: la Casa delle Muse. Il Museo è una raccolta di opere d'arte, ma anche documentazione etnografica e storicizzazione, a procedere dal mondo della pittura, e quindi dell'immagine, posta sotto il segno delle muse, che prende forma nell'ambito rinascimentale, sorta di autentico simmetrico laicizzato dell'universo delle chiese cristiane, nella loro dimensione agente luoghi di trasmissione, per riti, del racconto sacro; sua celebrazione nell'iconografia della civiltà cristiana. E che la nascente civiltà cristiana, una eresia dell'ebraismo, aveva mutuato dai templi pagani, spesso semplicemente occupandoli, e scalpellando via, sui basamenti, i nomi degli dèi pagani, ed incidendovi quelli di santi cristiani, per cui Apollo diventa san Giorgio, le statue del filosofo Plotino diventano quelle dell'apostolo Paolo, e il Cristo assume i tratti convenuti di Dioniso. C'è il recupero della coscienza di questa sequenza storica nel delinearsi del museo risorgimentale, traccia concreta d'uno spazio di libero dibattito speculativo, che non trova più un suo luogo nell'ambito cristiano, ormai mondo sopraffatto da una chiusura dogmatica implicita nella logica monoteista cristiana, che si è fondata su una serie di falsificazioni santimoniose apocalittiche circa la venuta del Cristo, poi svoltesi coerentemente nella falsa donazione di Costantino: sulla quale si fonda tutto il cesaropappismo medioevale, le cui pretese diventano irrisione allo smascheramento di Lorenzo Valla.
Ma perché, tra rinascimento e illuminismo si definisce: istituzionalizza come museo uno spazio sociale di libera ricerca e riflessione storica?
Procediamo dal nome della nuova singolare istituzione: Casa delle Muse o Museo.
Il massimo teologo del paganesimo classico fu il poeta Esiodo (suppongo, scrive Erodoto, che Omero ed Esiodo vissero quattrocento anni prima di me). Dai versi di Esiodo apprendiamo un suo contatto diretto visionario con le Muse che, nel racconto del poeta, fu da queste divinità iniziato alla poesia. Esiodo, quando le aveva incontrate, già sapeva che le muse erano nove, figlie di Giove e Mnemosine (la memoria), ognuna preposta a una specifica forma di arte: Calliope alla letteratura, Clio alla storia, Erato alla poesia erotica, Euterpe alla musica, Melpomene alla tragedia, Polimnia alla poesia religiosa, Talia alla commedia, Tersicore alla danza, Urania all'astronomia. Abbiamo dato qui il catalogo delle Muse per far evidente al lettore una ben singolare stranezza: non c'è nessuna musa che presieda all'esercizio né della pittura né della scultura, attività centrali nel mondo antico classico. A questo singolare paradosso sono state date le più diverse risposte, a discendere dalla considerazione che il pittore e lo scultore operano con le mani, e quindi svolgono un lavoro di tipo servile. Obiezione ben bizzarra, visto che nel paganesimo classico anche i fabbri avevano un dio loro proprio, e perfin i ladri, perché non pittori e scultori, figure di grande rilievo sociale?
L'assenza di una musa della pittura si comprende solo se si va alla funzione sacrale delle muse entro la teologia ellenica, che così possiamo sintetizzare per le dotte parole del Dodds: “ Il dono delle Muse, o meglio, uno dei loro doni, e il più importante, è la capacità di parlare secondo verità. - E. R. Dodds, I greci e l'irrazionale, pg 126 ed. it. Milano 2009”. Parlare sotto il dettato delle muse significa parlare secondo verità, in quanto la persona ispirata dalla muse è un entheos: un pieno del Dio, e questo lo apprendiamo da un passo di uno dei grandi sapienti del mondo classico: “Essere entheos (pieno del dio) è una condizione che il poeta condivide con altri ispirati: i profeti, le baccanti, le pitonesse. - Democrito”
Il discorso delle Muse è dunque sempre discorso di verità: evangelico, che raggiunge il mondo per la mediazione dell'artifex da loro ispirato, parola spesso levata contro la menzogna, l'inganno, ma che nella pittura, fin quando la soggettività conserva una chiara visione sensoriale, non può aver spazio, almeno nell'ambito del mondo classico. Qui la pittura è un elemento rammemorativo, che tramanda vicende note e condivise, come apprendiamo tanto da quella summa della natura e funzioni della pittura antica che è la pittura pompeiana, ma anche e ancora di più dalla pittura tombale, tutta segnata da contenuti mitico simbolici. E ancora dalla lettura iconologica dalla pittura vascolare, straordinario capitolo dell'arte, per le cui immagini possiamo, per approssimazioni, avvicinarci al quotidiano del mondo classico antico.

A discendere dalla sua spiegazione teologica, comprendiamo la vera funzione della rinascita pagana nel mondo degli stati assoluti cristiani, sopraffatti da quell'ipocrisia bigotta così mordacemente irrisa da un Diderot e un Voltaire, ma anche da quel sommo poeta comico, fedele discepolo di Erato, che fu il veneziano Giorgio Baffo. In un ambito di potere ormai sopraffatto dal conformismo, per i detentori del potere diventava necessaria una parola di verità, recuperata attraverso il ritorno a quell'antecedente pre-cristiano, la cui forma istituzionale si articolava per i teatri, le accademie di belle arti, il recupero storiografico critico del passato, e aveva la sua massima oggettivazione nella raccolta museale, serie di immagini selezionate ad articolare un ordine del vero in opposizione all'artificio del sistematico inganno realizzato dalla coeva organizzazione del potere politico cristiano per le sue liturgie. Una ricerca del vero attraverso la mediazione della classicità, coltivandone i residui estetici, tra il corpus poetico, a discendere da Omero ed Esiodo, e le grandi opere storiografiche, tra Erodoto e Ammiano Marcellino.

Al centro delle varie Case delle Muse che caratterizzano il paesaggio intellettuale tra '600 e '700: il secolo del trionfo dell'illuminismo, sta una oggettiva tensione di verità, che prende forme nell'ambito del potere politico, per la mediazione della figura dell'artista, in ragione del suo oggettivo rapporto con una trascendenza altra: la verità che viene: è dono delle muse, e che condurrà alla dissoluzione dell'ordine europeo degli stati assoluti, con il conseguente emergere del predominio borghese, uno dei cui luoghi originari di meditazione è lo spazio pittorico. Questo si coglie chiaro soprattutto per l'analisi iconologica della pittura olandese, per la quale si definisce la visione borghese del mondo, in una ideale continuità evolutiva con il mondo delle muse, la cui sintassi simbolica è universalizzata, nell'ambito della pittura europea, dall'iconologia del Ripa, solo attraverso il cui testo: la sua consultazione, siamo in grado di leggere la grande esemplare 'Allegoria della pittura' del Vermeer, opera oggi a Vienna, che compendia il nuovo ordine post cristiano in apparizione già nella speculazione spinoziana; e nel cui ambito il senso del sacro trapassa dalla macchina teologica clericale cristiana a un corpus articolato di soggettività artistiche agenti, chiamate a incarnare la parola vera, fino a realizzarla in opere a un tempo complessamente simboliche e didascaliche, con al centro ancora la omerica Musa. È una grande impresa collettiva che trasforma la società europea, che si sintetizza nell'Enciclopedia, ed ha la sua massima evidenza nell'istituzione museale. È una società dove i contenuti della politica innovativa derivano dalla visione dell'artifex entheos, come parla anche nel nostro risorgimento, tutto percorso dalle canzoni del Leopardi e del Foscolo, come dalle allegorie dell'Appiani e segnato dal grido Viva VERDI!, levato sotto le cupole dei teatri lirici.

L'accordo tra arte e politica borghese sarà però di breve respiro, come parla con particolare forza eloquente in quel filone filosofico che, tra Bachofen e Nietzsche svolge una serrata critica all'idea di società borghese come si era venuta articolando sotto il crescente primato del capitalismo, i cui grandi finanzieri mirano a impadronirsi anche del sistema museale, proprio per quanto per esso si veicola in una società democratica: il controllo dell'immagine. E nulla lo chiarisce quanto un significativo episodio accaduto nell'ambito del MOMA di New York nel 1932, protagonisti il banchiere David Rockefeller e il pittore Diego Rivera. Il banchiere commissionò al pittore un affresco che esaltasse le grandi innovazioni del XX secolo. E il pittore celebrò nell'affresco su una parete del museo, la caduta dello zarismo, ponendo al centro del suo racconto epico la figura di Lenin. Il banchiere pagò il pattuito e vietò l'ingresso al MOMA all'artista, che non poté concludere l'opera, dal banchiere fatta distruggere.
Come già avevano capito i primi imperatori della Roma cristianizzata, anche il capitalismo ha perfettamente compreso che la perdita del controllo dell'immagine, e quindi del dominio sull'immaginario popolare, porta inevitabilmente alla perdita del potere politico, come anche conferma clamorosamente la coincidente fine dell'egemonia degli stati assoluti cristiani, e la perdita del centro in quegli immaginari sociali dell'iconologia cristiana. E questo ha compreso non solo il capitalismo finanziario borghese occidentale: e con particolare lucidità nel suo centro decisionale USA, ma anche quella nuova forma di capitalismo di stato che è stato il bolscevismo russo, che oggi vigorosamente si perpetua nel post maoismo cinese.
Infatti tutta la cosiddetta 'Guerra Fredda' tra gli imperi moscovita e USA si gioca anche intorno al controllo dell'immagine, che l'impero moscovita cerca di imporre attraverso la dottrina del cosiddetto realismo socialista. Più raffinatamente il capitalismo USA scelse la cancellazione dell'immagine, attraverso il primato dell'arte astratta, che rapidamente degrada la pittura da arte a deorazione: scelta non nuova, ma già realizzata dall'Islam, a cancellare uno dei luoghi di possibile critica alla sua dogmatica monoteista.
Il calligramma astratto, con vigorose iniezioni di dollari si sarebbe poi scoperto quando i documenti della guerra fredda sarebbero stati desecretati, si impone tra gli anni '950 e la caduta del muro di Berlino, grazie alla massa di denaro che la CIA investe a promuovere le grandi mostre di arte astratta in Europa, il grande stratega dell'astrattismo il banchiere D. Rockefeller infine defunto, ultracentenario, nel 2017.

Il nuovo museo d'arte di Racconigi è certamente una periferia, ma che partecipa oggettivamente a quella dialettica della costruzione politica dell'immaginario che è sempre e ovunque inequivocabilmente operazione politica per eccellenza. Per cui ogni volta la creazione di immagini ricapitolative della topografia spirituale sociale, la cui forma canonica di comunicazione è l'arte: e soprattutto l'arte figurativa, si muove: è fin nei suoi visceri parte del processo politico, per quanto veicola di verità o di sua contraffazione nel locale immaginario sociale. Questo è bene mai dimentichino i fruitori dell'istituzione museale, a non diventare subalternamente passivi alle immagini selezionate dal dominio politico. Ma questo abbiano non meno chiaro gli operatori chiamati a gestire l'attività museale: che sarà attivo fattore di democrazia quanto più avrà al centro un progetto umanistico orientato politicamente all'eguaglianza tra soggetti agenti. Come appunto si realizza nella democrazia diretta: che fu la forma politica della città-stato antica, la città delle Muse. E che le Muse ebbero cara. E furono cari alle Muse anche i due artisti eponimi del nuovo museo di Racconigi, i Maestri Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda.

Piero Flecchia
Scrittore e politologo
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